Dei marineri di S. Canzian si è persa la memoria perfino negli stessi abitanti del paese. Ne va ricercata traccia nei primi anni dell’Ottocento, nei registri parrocchiali in cui comparivano sempre più numerosi atti di funzioni religiose che si interessavano dei marineri. Si trattava di un numero limitato di famiglie provenienti da città marinare venete come Pellestrina, Portogruaro, Loreo e Cesena: è stato possibile dedurre che l’allora decadenza della Dominante Venezia, contrastata dal contemporaneo sviluppo urbanistico e portuale di Trieste, avesse favorito l’emigrazione di famiglie marinare venete verso Grado ed il Monfalconese. Si ha così idea che l’attività marinara, attestata a S. Canzian con la presenza di sei capifamiglia in un documento del 1807, sia stata introdotta dall’esterno: le condizioni di miseria e precarietà in cui versavano i contadini escludevano la possibilità di disporre di risorse economiche necessarie a far avviare l’attività.
Il lavoro dei marineri consisteva nella vendita di prodotti molto specifici richiesti dall’attività edilizia: la sabbia e la ghiaia che si trovavano in abbondanza alla foce dell’Isonzo e nel mare antistante; dopo aver escavato questi materiali e caricati nelle barche, li trasportavano via mare ai porti delle città costiere che ne facevano richiesta e, tra queste, principalmente Trieste.
Si trattava di un lavoro molto duro, il ritmo di lavoro era accelerato: dovendo prelevare i materiali dalla terra emersa bisognava allontanarsi non poco dalla barca e approfittare del ciclo delle maree, così da caricare con la bassa e partire con la alta.
Per oltre un secolo l’attività proseguì, fino allo scoppio della Prima Guerra mondiale che la interruppe bruscamente: le truppe austriache, per ostacolare la penetrazione italiana, affondarono quasi tutte le barche che i marineri avevano ormeggiato con cura prima di partire. Nel primo dopoguerra questo grave episodio spinse molti marineri ad abbandonare l’attività e a cercare un posto presso il Cantiere Navale di Monfalcone. Nonostante ciò le vecchie famiglie marinare cercarono di riacquistare una barca e riprendere il loro lavoro: così, verso gli anni Venti, le famiglie si attrezzarono con nuove barche e nuovi sistemi di lavoro, in parte frutto della nuova tecnologia in parte conquista data dall’esperienza e dal “sapere tecnico” di cui i marineri erano portatori.




