Tra i mestieri artigianali sviluppatasi sul territorio dalla metà dell’Ottocento c'era la figura dello scalpellino-tagliapietre: un’attività non ancora del tutto studiata che però ha lasciato una discreta quantità di beni e testimonianze.
Quello dello scalpillino era un mestiere consistente nello staccare, tagliare e lavorare la pietra delle cave, da portare poi in laboratorio e plasmare secondo la richiesta della committenza. Oltre alla manualità, questo mestiere necessitava di una conoscenza litologica e metallurgica, in quanto era di fondamentale importanza per l’operaio sapersi costruire gli strumenti del mestiere: per esempio i “ponciotti” e i “giandini”, ferri che servivano a tagliare e rifilare la pietra, tagliati, forgiati, battuti e temperati.
Numerose piazze, palazzi e monumenti costruiti con l’uso di pietre locali sono testimonianza di questo mestiere, diventato una vera e propria tradizione: non solo nel nostro territorio ma in tutto il Friuli, generazioni su generazioni hanno tramandato i saperi dei taiapiere o scalpelin.
La loro era un’abilità riconosciuta, punto a favore per quelle famiglie che a causa delle ristrettezze delle condizioni di vita optarono per emigrare all’estero: anche l’industrializzazione in un certo senso aveva decretato la fine dell’attività estrattiva poiché, con l’introduzione di nuove tecnologie, agli scalpellini rimaneva da lavorare solo grazie agli intenditori desiderosi di qualche pezzo originale, oppure occupandosi di quei lavori che le macchine non potevano realizzare.




