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Carnevale monfalconese

Martedì grasso

Divertimento, balli e collettività sono le componenti del Carnevale monfalconese, la più grande festa del Territorio, festeggiata dal 1920. Dalle macerie di una cittadina sconvolta dalla guerra, i monfalconesi tentarono di rilanciare la vecchia e amata tradizione della “Cantada” e dell’animazione di maschere e mascherine che, tuttavia, con l’avvento del fascismo ebbero una ripresa molto breve e fugace: furono proibiti mascheramenti ed assembramenti di qualsiasi tipo sulla pubblica via; agli occhi del fascismo il Carnevale risultava uno strumento di conoscenza e quindi di possibile azione e trasformazione a sfavore dello stesso regime. Questa proibizione di sfilate, mascheramenti e manifestazioni spazzò via la Cantada da Monfalcone per circa una decina d’anni. Il modo per festeggiare ugualmente il Carnevale fu trovato organizzando degli eventi nelle sale da ballo di locali, opportunamente vigilati, come il Teatro del Cantiere, il Cine-teatro Italia in Corso, il Cine-teatro Eden (poi Nazionale) o, per le classi socialmente privilegiate, l’Albergo Impiegati. A conservare quella sfumatura popolare e “stradaiola” del Carnevale furono le classi popolari, fiduciose di una ripresa della tradizionale funzione del Carnevale, quella di “valvola di sfogo”. Nel 1930 il monfalconese Emilio Castellani, assieme ad altri 25-30 buontemponi, rianimò la non dimenticata Cantada: si presentò in piazza insieme alla prima sua (finta) sposa, Olga Pacorig, e lesse le vecchie e amate canzoni, assieme a barzellette e motti scherzosi; così fece fino al 1940, dando di nuovo vita all’autentica tradizione popolare del saluto al Carnevale.
Con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale la festività del Carnevale venne nuovamente interrotta; anche la rivista cattolica “L’Idea del Popolo” si era accanita, polemizzando contro “gli spiriti bollenti del Carnevale”. Gli adulti veramente pii e cattolici, in una ricerca di purezza e santità, si astenevano da qualsiasi festeggiamento carnevalesco ritenuto privo di morale, e si organizzavano con attività alternative. Il ballo era oggetto di censura e proibizione assoluta, solo alcune modeste feste da ballo “semiclandestine” tenute in “foladori” o case private riuscivano ad essere organizzate. La metamorfosi che il Carnevale avrebbe subito nel secondo dopo guerra si indirizzava verso un adattamento all’interno delle compatibilità cattoliche.
All’alba degli anni Cinquanta, la tradizione del Carnevale venne rilanciata dalla Società monfalconese di Mutuo Soccorso in stretta collaborazione con l’Oratorio San Michele: il Carnevale “laico” si dovette adattare ai metodi e allo stile delle piccole festicciole di Carnevale gestite dalle parrocchie. In questa fase di definizione, coincidente con la prima metà degli anni Cinquanta, il Carnevale monfalconese si delineò nella sua attuale fisionomia: la Cantada in piazza a cui seguono la sfilata dei carri allegorici, i balli in maschera e la pubblicazione della Cantada-rivista.
In pochi anni il Carnevale monfalconese divenne, tra le manifestazioni del martedì grasso, la più grande e la più importante a livello provinciale: uno spettacolo in grande stile, una manifestazione dove il pubblico poteva ammirare la fantasia e la creatività dei carri, delle mascherine e dei gruppi mascherati.

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