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Introduzione

Per la sua origine piuttosto recente e le sue caratteristiche, Villa Vicentini Miniussi non può essere inserita nella stessa tipologia delle dimore padronali costruite in funzione delle attività di un fondo agricolo. Alla fine del secondo decennio del XIX secolo, il sacerdote Don Giuseppe Berini cedette il terreno di cui era proprietario a Giacomo Vicentini. Tra il 1829 e il 1851 circa vennero costruiti un teatro e una villa, la cui struttura si presenta come un tipico edificio esclusivamente di tipo residenziale, a pianta compatta, affacciato sulla via pubblica con un giardino all’italiana ed un elegante facciata riconducibile ai dettami del neoclassicismo. La proprietà resta nelle mani di Vicentini fino al 1904, quando passa al facoltoso imprenditore Giuseppe Miniussi. Dopo l’acquisto da parte del Comune di Ronchi, oggi ospita la sede del Consorzio Culturale del Monfalconese (CCM) e la “Porta dell’Ecomuseo”. Inoltre è sede del Centro Sistema Bibliotecario, e al suo interno si trova una biblioteca specializzata, l’Archivio della Memoria e la Fototeca storica. Si tengono conferenze, presentazioni editoriali, incontri con scrittori, mostre fotografiche e altre manifestazioni di carattere culturale.

Bibliografia

  • Bresciani Arturo, Mauchigna Alberto, Tomasella Paola, Ville nel territorio, Ronchi dei Legionari, Centro Culturale Pubblico Polivalente, 1994
  • Degrassi Fabio, Ronchi invisibile: la ricerca della storia attraverso lo studio dei monumenti, Ronchi dei Legionari, Comune di Ronchi dei Legionari, 2015
  • Degrassi Fabio, Villa Vicentini Miniussi: patrimonio della cultura storico-architettonica di Ronchi dei Legionari, Ronchi dei Legionari, Comune di Ronchi dei Legionari, 2010
  • Domini Silvio, Ronchi dei Legionari: storia e documenti, Ronchi dei Legionari, Meta Communication, 1998
  • Pavan Licio, Villa Vicentini-Miniussi, s.l., s.n., 200
  • Sotto Monfalcone. Alla scoperta della città e del territorio tra Timavo e Isonzo, p. 188

Per approfondire

Le origini 

La nostra storia comincia nel tardo ‘400- inizi’500 (purtroppo ad oggi non c’è una datazione certa) quando su questo terreno dove ora troviamo la villa sede del Consorzio Culturale del Monfalconese sorgeva la chiesetta di San Leonardo.

Per liberarsi dai dolori reumatici, una volta ci si recava alla chiesetta di San Leonardo, dove c’era una statua del Santo con una catena in mano. I malati prendevano questa catena e se la portavano a casa per metterla alcuni giorni sulla parte dolorante, poi la riportavano in chiesa e lasciavano un’offerta. La chiesetta fu profanata da Napoleone durante la Campagna d’Italia (1796-97) e venne successivamente demolita nel 1817. Della chiesa non è rimasto nulla ad eccezione di un’acquasantiera, conservata presso una famiglia di Ronchi (oggi forse donata al comune), ed una colonna in pietra, reimpiegata nella costruzione della serra ottagonale sul retro della villa.

Dopo la demolizione, il terreno venne acquistato dal sacerdote Giuseppe Berini con un duplice intento: da un lato, essendo egli uno studioso di archeologia, sperava di poter condurre scavi archeologici sul sito che verosimilmente conservava resti di epoca romana, dall’altro auspicava a ricostruire l’edificio religioso abbattuto. Per mancanza di fondi però Berini si vide costretto a vendere il terreno, che nel 1829 passò nelle mani di Giacomo Vicentini, ricco borghese funzionario delle Fabbriche Edili a Trieste e appassionato di archeologia, il quale voleva costruirsi una residenza tra Trieste, dove lavorava, e Aquileia, dove poteva sviluppare i suoi interessi per l’archeologia. La costruzione della villa con originaria funzione residenziale, è quindi merito del Vicentini. E’ realizzata in stile neoclassico, un linguaggio ampiamente diffuso in quegli anni sia in ambito giuliano che friulano. La data di costruzione si inserisce tra il 1829, data di acquisizione del terreno, ed il 1844, anno in cui l’impero austro-ungarico conferì al Vicentini lo stemma di marmo collocato nel timpano. Sullo stemma sono riportate due date: il 1815, anno in cui il Vicentini ricevette la croce d’argento al merito civile come membro della presidenza per la costruzione del canale Rosega di Monfalcone, e il 1829, data di acquisizione del terreno.

La facciata principale risulta sicuramente più solenne e d’impatto rispetto a quella posteriore. La solennità è data inoltre dall’ingresso rialzato. Questa soluzione, oltre a conferire maggiore maestosità alla struttura, era anche funzionale ad avere una completa visuale del territorio circostante. Ma c’è anche un’altra motivazione, il Vicentini decise di sopraelevare il giardino, e di conseguenza l’accesso alla villa, per evitare di profanare il suolo con scavi che avrebbero potuto portare alla luce i resti della vecchia chiesetta di San Leonardo o dell’annesso cimitero.


Da Vicentini a Miniussi

Giacomo Vicentini morì tragicamente nel 1851 annegando nel pozzo della villa. Come da testamento, la proprietà passa all’unico figlio maschio, Augusto. Augusto vi abitò da solo, senza mai sposarsi e senza servitù, fino alla sua morte nel 1869. Dopo la morte di Augusto la villa è interessata da un lento declino in quanto le nuove proprietarie, le nipoti di Giacomo Vicentini all’epoca residenti a Gorizia, essendo molto anziane, decidono di non trasferirsi a Ronchi lasciando la struttura disabitata per molti anni. Nel frattempo, nel 1902, viene aperta la Piazza Nuova di Ronchi (attuale Piazza Unità). Non fu quindi difficile per le nipoti vendere la villa che fu comprata nel 1904 da una benestante famiglia del territorio, la famiglia Miniussi.

Il nuovo proprietario, Giuseppe Miniussi, aveva uno spiccato senso per gli affari. Aveva anche una sua visione dell’uso dei beni, che era sempre finalizzata al tornaconto economico. Per questo, accanto alla villa, sul lato sud, fece costruire un teatro inaugurato nel 1905 con il nome di “Teatro Miniussi”.


Durante le guerre

Durante la Prima Guerra Mondiale la villa subì alcuni danni e benchè fossero lievi, venne sottoposta a restauro, che probabilmente recò più danni della guerra stessa. Infatti scomparvero gli stucchi dalle stanze, vennero celati gli affreschi e i preziosi pavimenti vennero rimossi completamente. L’ingresso e il giardino vennero adibiti ad esercizio pubblico, prendendo il nome di “Caffè Giardino”.

Con la Seconda Guerra Mondiale inizia una seconda parabola discendente. Il complesso venne in parte sacrificato nella campagna del “Ferro alla patria” (per la produzione bellica): la ringhiera del giardino venne smantellata e sostituita da colonne in calcestruzzo, il cancello venne invece risparmiato. Il teatro, successivamente riconvertito in sala da ballo e come spazio per concerti e rappresentazioni teatrali sotto il nome di “Ragno d’oro”, cessò l’attività attorno agli anni ‘60 in seguito ad un crollo del tetto che lo rese inagibile.


Il restauro 

Nel 1967, pochi anni prima della morte, Luciano Miniussi ovvero il figlio di Giuseppe Miniussi, decise di vendere la villa. E’ doveroso fare un breve accenno a Luciano Miniussi in quanto è stato un fotografo amatoriale nato, cresciuto, e attivo sul territorio di pertinenza del Consorzio, documentando visivamente i mutamenti della zona dagli inizi del ‘900 ai primi anni ‘70. La fototeca del Consorzio (che visiteremo dopo) conserva buona parte della sua produzione fotografica, gentilmente donataci dagli eredi in particolar modo dal figlio Lucio.

Alla fine degli anni ‘90 il Comune di Ronchi acquisì la villa per recuperarla e restituirla al territorio. Le condizioni erano davvero precarie, essendo stata disabitata per molti anni e del tutto trascurata. I lavori di restauro interessarono l’edificio tra gli anni ‘90 e i primi del 2000 (inaugurazione pubblica 2004). I primi interventi furono rivolti a garantire la stabilità della struttura tramite la ricostruzione dei solai e dei pavimenti, la messa in sicurezza della torretta e del tetto cadenti. Ma certamente i lavori più interessanti sono il recupero della facciata esterna e degli affreschi. Questa sala in particolare era riccamente affrescata (parte degli affreschi sono andati irrimediabilmente perduti).


Ex cucina 

Questa saletta si presume fosse l’antica cucina. Anch’essa affrescata come il resto della villa. In particolare in questa sala c’è un affresco molto particolare: un quadretto raffigurante un paesaggio con cornice e chiodi dipinti. Da notare il dettaglio della finta ombra proiettata dal quadro dipinto sul muro che da l’impressione della tridimensionalità.


La struttura della villa + edifici secondari (sul retro)

L’edificio si articolava su tre livelli: il piano terra (dove oggi si trova la biblioteca) ospitava gli ambienti di servizio, il primo piano formava il piano nobile, il secondo piano ospitava le stanze da letto, le soffitte e la torretta. La facciata posteriore è evidentemente più semplice e sobria di quella che da sulla piazza, per ovvie ragioni in quanto all’epoca affacciava sulla campagna. Nella sua semplicità riprende però la tripartizione della facciata principale, scandita da lesene intonacate di un colore diverso. Ai lati della corte si dispongono gli edifici secondari: la serra ottagonale con l’unica colonnina in pietra di Aurisina rimasta della vecchia chiesetta di San Leonardo e la barchessa, edificio tipico delle ville venete destinato ad ospitare gli ambienti di servizio quali cucine, stalle, rimesse per utensili agricoli, stanze per contadini, ecc. In origine dobbiamo immaginarcela come un porticato aperto, chiuso in un secondo momento per ricavare ulteriori ambienti abitativi.


La cantina

L’ultimo degli ambienti secondari è la cantina ottagonale, situata al di sotto del giardino in corrispondenza della gloriette (padiglione metallico). Durante i lavori di restauro la cantina venne trovata vuota, non si riuscì mai a stabilire se effettivamente i proprietari l’avevano lasciata vuota o se qualcuno avesse trafugato il contenuto.

Una curiosità: la serra, la cantina e la torretta hanno tutte forma ottagonale. Non si hanno fonti certe che giustifichino tale scelta architettonica, l’unico indizio è che questa forma era tipica del movimento massonico.


Decorazione a stampiglio (Sala Timmel)

Della sala qui accanto non sappiamo molto, ma è molto bella per la ricca decorazione a stampiglio. La decorazione a stampiglio prevede l’utilizzo di un timbro (di metallo o di gomma) intagliato utilizzato per imprimere piccoli disegni, brevi scritte o segni. Da notare che la decorazione si articola in 3 sezioni, questo perché in passato la sala era suddivisa in 3 ambienti distinti.


Il Consorizio e la Fototeca

Dal 1978 il Consorzio si occupa di raccogliere, conservare e valorizzare il patrimonio storico-culturale del territorio in tutte le sue forme, materiali e immateriali. All’interno della fototeca è conservato il ricchissimo patrimonio di immagini proveniente da donazioni o acquisti di collezioni private e raccolte familiari riguardanti la storia e la cultura del territorio cosiddetto della bisiacaria, ossia l’area compresa tra il fiume Isonzo e il Timavo.


La torretta

Durante la prima guerra mondiale la torretta assunse una notevole importanza strategico-militare, in quanto venne utilizzata come osservatorio/vedetta dall’esercito italiano. Per questo motivo è stata spesso presa di mira dall’artiglieria austriaca, fortunatamente senza subire gravi danni. Nel 1917 fu visitata anche dal re Vittorio Emanuele III per osservare lo scenario di guerra sul Carso, agevolmente visibile da questa posizione.

Durante gli interventi di restauro vengono riscoperti e riportati alla luce gli affreschi: si tratta di quattro figure allegoriche raffiguranti le quattro stagioni, contenute in nicchiette circolari. Oggi rimangono solamente l’estate e la primavera, la quarta probabilmente si trovava in corrispondenza della finestra che da sulla piazza, che in origine non esisteva

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